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Teseo e le arti marziali: sei sempre lo stesso se cambi completamente? Parte 1

“Il vascello sul quale Teseo si era imbarcato con gli altri giovani guerrieri, e che egli riportò trionfalmente ad Atene, era una galera a trenta remi, che gli Ateniesi conservarono fino ai tempi di Demetrio di Falera. Costoro ne asportarono i vecchi pezzi, via via che questi si deterioravano, e li sostituirono con dei pezzi nuovi che fissarono saldamente all’antica struttura, finché non rimase neppure un chiodo o una trave della nave originaria. Anche i filosofi, discutendo dei loro sofismi, citano questa nave come esempio di dubbio, e gli uni sostengono che si tratti sempre dello stesso vascello, gli altri che sia un vascello differente”.

Plutarco, Vita di Teseo, 2.2

 

nave teseo

 

Saresti lo stesso se ogni anno qualcosa di te cambiasse? Occhi diversi dai tuoi penserebbero che sei lo stesso se alla tua antica struttura si aggiungesse dell’altro, se piccoli o grandi cambiamenti pian piano si sovrapponessero alla tua “natura originaria?”.

È il succo del Paradosso di Teseo, tanto amato dai filosofi antichi e moderni, a porci questa domanda.

Ed è esattamente la stessa domanda che ci poniamo tutti noi la mattina davanti allo specchio quando il nostro volto ci appare diverso o ogni volta che qualcuno a noi caro ci guarda negli occhi e ci dice che non ci riconosce più.

Cosa c’entra questo col karate e le arti marziali chiederete?

Molto, moltissimo, perché il karate e le arti marziali in genere, non sono uno sport, ma una vera e propria filosofia di vita, nemmeno tanto distante da quella occidentale a ben vedere, che può aiutarci a riflettere su tanti aspetti delle nostre giornate.

Lo stesso paradosso infatti è stato brillantemente accolto e risolto in Giappone dagli Shintoisti: uno dei templi più importanti del Giappone infatti, quello di ISE, viene completamente ricostruito ogni venti anni, e sempre interamente in legno, con un disegno a pianta identica al precedente, accanto a quello vecchio, che poi viene distrutto. Questa pratica si risolve con una vera e propria cerimonia, che prende il nome di “Shikinen Sengu” e serve a ricordare che tutto muore e risorge, come il tempio, che viene considerato originale ma rinato (o in quanto rinato).

shikinen_sengu_2

Dunque come si applica al karate?

In molti modi:

 

1-    Tecnico: si inizia spesso a praticare per l’aspetto sportivo e ci si ritrova a disquisire di rotazione del piede e più fattiva applicazione di un bunkai, non c’è niente di sbagliato in voi, avete solo scelto una strada diversa ma non per questo meno onorevole della prima.

2-    Personale: dopo un mese di palestra sbattete i pugni sul tavolo e dite “no! Questo non va!” mentre prima eravate soliti mantenere un atteggiamento più accomodante? Niente paura, le arti marziali possono farlo questo effetto. Non c’è niente di sbagliato in voi. Avete semplicemente cominciato a vedere le cose sotto un’altra prospettiva che è probabilmente quello di cui avevate bisogno.

3-    Tecnico B: ci si rende conto che oltre ad apprendere si desidera insegnare e seguire una propria strada. Qui il discorso può farsi complesso perché intraprendere una strada personale è sempre un momento delicato, ma quello che non va dimenticato è che oltre a dover avere una preparazione tecnica di buon livello non c’è niente di male a fare due cose insieme, che sarebbero seguire l’esempio marziale del proprio maestro disegnando però un percorso proprio.

 

Forse proprio quest’ultimo è l’esempio più calzante perché più degli altri ci mette a confronto con altri fattori oltre che con quello personale e cioè con il problema dell’IDENTITA’, che nell’ambiente delle arti marziali è un concetto da prendere con le molle, e quindi è lecito considerare che “Se l’identità di un individuo è data dalle parti che lo compongono, si può ancora parlare di stessa identità se tali parti vengono sostituite?”

Ciò che fonda l’identità è la condivisione di qualcosa da parte di esseri umani. L’identità è un’idea condivisa. Questa condivisione non è scontata. Inoltre, una cultura è composta, in ogni caso, pure da apporti esterni: la nave dovrà ricevere continuamente tavole e travi nuove, se vorrà restare a galla. Altrimenti, affonderà. E l’eventuale nave ricostruita con le parti antiche non potrà comunque, più prendere il mare. Al massimo, potrà finire in un museo o in un santuario.

Qual è dunque la “soluzione” del paradosso di Teseo?

Dal punto di vista personale la soluzione può essere rappresentata da un confronto basato ovviamente sul reciproco rispetto di concetti diversi e sul superamento di limiti che sono soprattutto propri, che sono quelli che individualmente ognuno di noi cerca di spostare sempre un pochino più avanti ogni volta che si trova sul tatami, da solo o coadiuvato da un Maestro. Ciò che si pone come causa irrinunciabile è ad ogni modo il desiderio di costruzione di un’identità, di una forma, ma anche di un posto personale all’interno di una costruzione che deve essere più ampia per far sì che la nave prenda il mare. Solo in questo modo si può generare una reciprocità costruttiva, che fa bene sia all’individuo che si allena e si sente incentivato, sia al gruppo o in generale al meccanismo di cui fa parte, che si trova arricchito, se poi ci si senta snaturati e cambiati oppure nonostante il cambiamento ci si consideri ancora portatori delle caratteristiche che ci sono proprie, oppure che ci si consideri cambiati e di ciò si sia contenti, questo sta ad ognuno di noi.

 

shuricastle

Dal punto di vista dell’identità di stile e di scuola invece il discorso è più complesso e per questo vi rimandiamo alla prossima settimana con un nostro spunto!!

Buon weekend, allenatevi e….riflettete!

 

Fonti: Karate by Jesse, Treccani, Laboratorio di Filosofia B. e C.