Al di là della questione metafisica che abbiamo posto nel precedente articolo, se noi volessimo tentare di risolvere in ambito tecnico la questione del paradosso di Teseo come potremmo fare?
Ci sono probabilmente infiniti modi di trovare una soluzione, ma prima di tutto bisognerebbe individuare cosa esattamente identifica il karate, non tanto come arte marziale in sé, ma cosa distingue uno stile dall’altro o un praticante dall’altro.
La peculiarità del karate è data dalle caratteristiche di scuola, ancor più che di stile, possiamo quasi sicuramente affermare dunque che sono i Kata a fare la differenza. In essi risiedono le caratteristiche stilistiche che ad un immediato impatto visivo possono essere riconosciute anche nella variante più sportiva (eseguita chiaramente da praticanti e atleti capaci) che si possa immaginare: postura, respirazione, esecuzione delle tecniche, movimento dei piedi e del corpo nello spazio. Mani prettamente aperte, mani prettamente chiuse.
Dunque se volessimo riflettere sull’argomento e poi “smontare” il Paradosso di Teseo in chiave tecnica forse potremmo cominciare da qui.
Una delle possibilità sarebbe utilizzare l’opera di un altro filosofo, Aristotele, il quale affermava che ci sono sempre 4 cause o ragioni attraverso le quali è possibile analizzare qualcosa. Tali cause, correttamente analizzate, possono portare alla soluzione del paradosso (ma anche di molto altro). Queste si dividono in Causa Formale, Causa Materiale, Causa Finale e Causa Efficiente. Lui ci ha risolto il paradosso di Teseo, noi proveremo anzi a risolverci quello che da adesso chiameremo il Paradosso dei Kata.
Causa Formale: come suggerisce il nome, è la forma propria di qualsiasi cosa, nel caso di Teseo è la nave, che è sempre a forma di nave appunto, mentre nel caso dei kata, nell’esecuzione “moderna” sicuramente il “design” è cambiato, sia nell’esecuzione agonistica sia nell’esecuzione di stile, basta confrontare foto o video. La differenza dei movimenti e anche della preparazione e costituzione fisica di base di chi li esegue è diversa. Il discorso va ben oltre lo stile: l’educazione (e anche la diseducazione) al movimento è cambiata, con questo i conti vanno fatti.
Causa Materiale: è la materia di cui è fatto l’oggetto che si vuole analizzare, nel caso di Teseo è il Legno, che è stato sostituito, nel caso dei Kata è il nostro corpo, la nostra anatomia, che si è evoluta come dicevamo prima, ma di base abbiamo sempre 2 gambe e 2 braccia. Quindi, nel caso che a noi interessa, cambiamento parziale.
Causa Finale: sarebbe lo scopo per cui l’oggetto in questione nasce e viene utilizzato. La nave ovviamente per navigare. Nel caso dei Kata invece l’utilizzo finale è decisamente cambiato. Nati con l’intento di rappresentare il culmine della semplicità in ambito di trasmissione mnemonica di difesa personale o come culmine di una lezione precedentemente appresa, hanno decisamente cambiato destinazione di utilizzo: sportivo, esercizio personale, concentrazione, passaggio di grado, certo, in molti ancora ne studiano il bunkai, cioè l’applicazione, però, nell’era della polvere da sparo e del diritto penale, è ovvio che le arti marziali in tutte le loro applicazioni agiscono soprattutto SULLA TESTA delle persone e SULLA PREVENZIONE, molto meno sulla difesa a mani nude che prevede rottura di arti o altre parti del corpo. In Giappone è stato così, lo è stato anche da noi. Il fine ultimo nudo e crudo di quello che facciamo è cambiato, anche se a noi può sembrare di no, ma nel momento in cui prepariamo un nostro allievo per una gara dicendogli di scendere più in basso nelle posizioni o saltare più in alto per un salto abbiamo accettato comunque un compromesso.
Causa Efficiente: identifica come e da chi una cosa viene fatta. Nel caso del Kata è fatto dalle persone, diverse per cultura e fisicità, nonché per età e sesso, quindi rispetto al Karate originario decisamente molto è cambiato. Anche il come è decisamente cambiato: è ben probabile che la maggior parte delle tecniche e delle posizioni inserite nei Kata a noi giunti fossero state “testate” dai loro creatori, e che quindi si basassero se non su un contesto pratico di aggressione, quanto meno su un contesto pratico di allenamento. Nella creazione di nuovi Kata, dove spesso si utilizzano anche molte tecniche spettacolari e acrobatiche, ma anche nello studio dei kata classici, dubito fortemente che fra compagni di palestra qualcuno si sia tirato sul serio un calcio volante, ma tanti secondo me non si sono mai nemmeno tirati un maegeri ben portato.
Quindi almeno per quel che riguarda i Kata, ma anche il resto, facciamo ancora Karate?
Se teniamo a mente che:
A- Il Karate è un’arte marziale fatta dagli uomini
B- L’unico fattore che rimane sempre costante è il cambiamento
Allora sì, lo facciamo, adattandoci al tempo che cambia, come è stato ed è per la Lingua che parliamo, per la tecnologia che usiamo, per le mode che seguiamo.
In termini filosofici il paradosso non può essere effettivamente risolto perché le accezioni che possiamo dare di stesso e uguale cambiano, quindi sono plausibili risposte diverse, a seconda di come il concetto di IDENTITA’ viene relazionato all’entità fisica cui appartiene.
David Wiggins afferma che non ci sono principi di identità validi universalmente, ma che dipendono dalla funzione che viene associata al qualcosa in oggetto.
Tutto muta con l’esperienza, pur rimanendo confinata nel nostro Ego.
Forse l’unica cosa che conta è che l’Ego non prenda mai il sopravvento.
Fonti: Karate by Jesse, Pinocchio nel paese dei paradossi: viaggio fra le contraddizioni della logica di A.P. Aprosio (Sironi Editore)